Il "Vǫlsa þáttr" si svolge nel 1029, quando la Scandinavia e Islanda erano ancora in parte pagana. Egli cita anche un altro rituale dove due uomini sollevano la padrona di casa oltre la soglia della porta per aiutarla a vedere il mondo delle fate. Questo rituale è anche narrato da Ahmad ibn Fadlan, che lo osserva durante un funerale rito scandinavo ( di cui vi parlai in: Riti funebri Resoconto di del Rus di Ibn Fadlan: Risala)
La leggenda Vǫlsa þáttr è inserita nella Saga di sant' Olaf nel Flateyjabok (II, 331)xiv° secolo 1 . Cosi come detto in questa leggenda, si legge come un racconto burlesco di un sofisticato autore che era di moda tra gli illetterati contadini che vivevano in una remota contrada della Norvegia Settentrionale.
Si racconta che sant'Olaf, ben sapendo la persistenza di pubbliche pratiche pagane nelle zone più lontane del suo regno, senti parlare di un vecchio e una vecchia che vivevano in una plaga isolata del nord. Essi avevano un figlio e una figlia e pure un servo e una serva. Un autunno, un grosso cavallo mori e secondo l'usanza pagana, fu macellato e cotto; quando il cavallo fu spellato, il figlio del fattore, in vena di fare uno scherzo pesante, ne prese gli organi genitali (vingull). corse in casa e li agito davanti alla donna con queste parole
Qui tu puoi vedere
un buon forte vingull tagliato dal
padre del cavallo.
Per te, serva, questo Volsi (fallo)
sarà abbastanza vivo fra le cosce.
Ogni sera iniziando in autunno, lo tirava fuori, proferiva una formula da ella inventata, e riponeva tutta la sua fede in esso, sostenendo che era il suo dio (gudh, sinn ) e andò persuadendo tutta la casata a fa stesso. Il vingull venne riempito di tale potere demoniaco che crebbe forte e e poteva stare ritto accanto alla padrona di casa. Ogni sera questa recitava un verso su di esso, lo passava per l'assemblea riunita e ognuno contribuiva con un verso.
Una sera, sul tardi, re'Olaf sapendo di tale culto, arrivo con i suoi amici, Finn Arnasom e il poeta islandese Thurmodh, sotto mentite spoglie ( Grìm) sedettero nella grande sala in attesa che la gente di casa si riunisse. Per ultima venne la padrona con il vringull che chiamava affettuosamente Volsi e teneva stretto al petto. Volsi fu passato di mano in mano e chi lo riceveva diceva un verso, spesso osceno, accompagnato dal ritornello:
Þiggi mörnir
Þetta blæti
Possa Mörnir
ricevere questo sacrificio.
Se potessimo sapere cosa o chi Momir era, potremmo capire meglio la leggenda. La questione è filologica ed è stata discussa molto abilmente da F. Ström i cui riferimenti sono utili per decretare che: Morn (fem sing) è usato come forma poetica per "gigantessa" e almeno in un passo scaldico arcaico, Marnar fadhir (padre di Mörn) sembra designare il gigante Thjazi. Questo suggerirebbe che Morn fosse un nome per la dea Skadh, la dea degli scii che divenne la moglie del dio della fertilità Njordh.
Su tali basi si è supposto che Mornir sia un femminile plurale e che il vingull, o fallo, era presentato alla dea fertilità, paragonabile alle disir.
Se tale ipotese è convincente, e se è stata pure sostenuta da paragoni con un antico rito Indiano, è difficile da accettarsi. Un femminile plurale, se di radice o, i o u nella forma Mornir sarebbe eccezionale, sebbene forme come Marnar, Marnir, anche Mernir possano essere possibili.
Mornir e documentato secondo Turville-Petre, come nome per "spada" ed è molto probabilmente messo in relazione al verbo merja (schiacciare), ed è paragonabile con beytill (cfr. bauta "colpire") termine þáttr per descrivere il pene, che potrebbero provenire da Bauta ( "lotta") che anche appare in versi della leggenda di Volsi con il significato di "fallo".
Ciò implica che vingull, beytill, Volsi, Mornir sono tutt'uno e la stessa cosa. Il fallo non è solo l'emblema, ma anche la personificazione del dio della fertilità,. Se era giusto suggerire che il cinghiale sacrificale (sonar) era l'incarnazione di Freyr, al quale esso era sacrificato, può essere vero che Volsi-.Mornir fosse sia il sacrificio, che colui cui era offerto il sacrificio. Ovvero Freyr, il dio rappresentato nel tempio di Uppsala cum ingenti priapo ( "con un enorme fallo") secondo la testimonianza di Adamo di Brema nel Gesta Pontificum ecclesiae Hammaburgensis .
Régis Boyer sostiene che un culto fallico esisteva in Scandinavia. Oltre alla rappresentazione di Freyr in Adamo di Brema, attestano in denominate pietre Rodsten a Grebo, in Östergötland o passaggio di Morkinskinna, in cui il re Magnus il Buono accusa il padre del re Harald lo Spietato di aver costruito un recinto intorno al fallo di un cavallo.
Il Völsa þáttr è quindi testimoniano come risultato di "molto antiche pratiche rituali". Boyer sottolinea inoltre l'inviolabilità del cavallo, come molte fonti confermano, e la sua associazione con Freyr, illustrato ad esempio mediante la hrafnkels saga freysgoða Freysgoða.
Va detto, che secondo Klaud Düwel, i nomi Volsi e Mörnir, non avrebbero un carattere storico ma sarebbe un'invenzione tardiva, risalente al xiii ° e xiv ° secolo 12.
Fonti:
Gli Dei Vichinghi. Religione e miti di un popolo gueriero.- E.O.G. Turville-Petre - Ghibli/ ovvero:
"Religione e miti del nord" pubblicato da Il Saggiatore
Witchcraft and Magic in the Nordic Middle Ages- Stephen A. MitchellGli Dei Vichinghi. Religione e miti di un popolo gueriero.- E.O.G. Turville-Petre - Ghibli/ ovvero:
"Religione e miti del nord" pubblicato da Il Saggiatore
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Oggi mi sono data allo studio sul tuo blog :D
RispondiEliminaGrazie per tutti questi post, non so dove sarei senza di te