martedì 29 gennaio 2013

I Riti di Febbraio


✖ I Riti di Febbraio ✖


Feste dal Calendario Pagano
01 febbraio. Imbolc. Festa di purificazione. Sabba di Imbolc Festa di Brigid
02 febbraio. Candelora.
05.febbraio. Festa del Fauno.Concordia, Dea del matrimonio armonioso
06 febbraio. Festa di Dioniso.Concordia, Dea del matrimonio armonioso
07 febbraio. Festa di Selene.
09 febbraio. Festa di Yamaja
13 febbraio. Febbraio Faunalia.
14 febbraio. Festa dell'amore. Febbraio Faunalia.
15 febbraio. Festa dei Lupercali
16 febbraio, Festa di Atena Nike.
17 febbraio. festa del Gatto
18 febbraio. Giorno del Frassino. Festa di Parentalia
21 febbraio. Festa di Feralia.
27 febbraio. Festa di Marte.



Feste Pagane Stregheria Italiana - Sabba: 
Candelora(Detta anche Inbolc):[Febbraio, 2] E' la prima delle 4 grandi feste del'anno.I primi sussurri della primavera, che rappresentano il ritorno della Dea, fertile e viva, che trionfa sul Dio della morte che ha purificato tutto col gelo dell'inverno. Arriva insieme al germogliare dei primi semi, ed e' un momento iniziatorio. Visto il valore agrario della festa, il cristianesimo non riusci a sradicarla del tutto, ma nemmeno ad assorbirla del tutto : ne nacque come risultato la festa pagana del carnevale, che comunque riusci' a nascondere la vera natura della festa.Celebra il risveglio della terra.
In questa notte si consacrano le candele che serviranno per i rituali magici durante l'anno, ma anche molto propizia per le benedizioni fatte con l'acqua.E' un'occasione di celebrazione, utile per tutti i rituali di natura costruttiva e volti ad aumentare la sensibilità e la veggenza.

Candelmas, o Imbolc, Omeilc o la cristiana aCandelora è una festa a metà tra il Solstizio d'inverno e l' Equinozio di primavera, è la festa che purifica e rigenera. Viene celebrata il 1 e il 2 di Febbraio, considerato un periodo di passaggio , tra i rigori dell' inverno e il risveglio della natura a primavera. Il nome Febbraio deriva da Februa, che erano i panni usati per raccogliere il sangue dei sacrifici, usati con funzione purificatrice. A Roma, infatti, si celebrava la festa di Giunone sospita (la salvatrice) e feburuata ( la purificatrice) era parte di una lunga cerimonia che iniziava con le onoranze rese alle tombe dei cari e le invocazioni dei Lari, seguite dai Lupercali per ricordare la lupa che aveva allevato Romolo e Remo.I Quirinali in onore del dio Quirino, i Fornaciari in onore della dea del pane e i Terminali in onore del dio Termine, che proteggeva i confini del territorio romano. I festeggiamenti duravano per tutto il mese.
Per i Celti Imbolc, il cui significato letterale è "nel grembo" (oppure latte) cadeva il primo del mese ed era una festa dedicata al triplice aspetto della dea Bride, che aveva un sacerdozio femminile con diciannove sacerdotesse e non accettava presenze maschili. La dea veniva anche soprannominata Belisma (la splendete) e le sacerdotesse custodivano il fuoco perpetuo, sacro alla dea. La sera si preparava il letto di Bride con paglia o con covini di grano dell' ultima mietitura; il giaciglio era cosparso dalle donne con latte e miele e si sdraiava poi la dea che veniva ingravidata dal dio per dare fertilità alla terra.
La cerimonia di Imbolc comprendeva una aspersione di acqua lustrale, che ripuliva il corpo dalle scorie accumulate nell' inverno e attirava energie positive. Era il rito del ritorno della luce, il primo segno che l'inverno stava per finire; nascevano gli agnelli, le pecore davano il latte, e qualche fiore comincia a sbocciare.
I cristiani traforarono Imbolc nella desta di Santa Brigida, che assunse le caratteristiche della già nota Bride: Badessa in un convento di Kildare in Irlanda aveva comandato di tenere sempre acceso il fuoco della gloria divina.
La candelora festa Cristiana del 2 Febbraio commemora il ritorno al Tempio di Maria dopo la nascita di Cristo.
Ogni donna dopo aver partorito era considerata impura per quaranta giorni; e doveva compiere una cerimonia di purificazione dopo la quale presentava il proprio figlio al Tempio.
Maria portò con se una candela, simbolo della luce che suo figlio avrebbe portato alla terra, e da qui rimase l'usanza di accendere le candele in quel giorno.


I riti della Candelora
Servono per purificarsi dalle scorie dell' inverno, foscamente ed emotivamente e per prepararsi alla rinascita della natura e della vita che esploderà in primavera


Rito della Triplice Luce
E' un rito di purificazione che si fa tra la mezzanotte del 1 e del 2 febbraio.
Sull altare sistemate a sinistra un mazzo di gigli bianchi a destra l'incensiere con incenso misto a petali rosa bianca. Al centro tre candela bianche disposte a triangolo con la punta in alto. Sotto le candele mettete un foglio con scritto cosa non vi è piaciuto dell' anno precedente e i problemi che avete avuto, dispiaceri frustrazioni ecc..e le cose non concluse.
Di fianco al foglio mettetene un altro rosso con scritte le cose che avreste voluto fare e non avete fatto, progetti e desideri, Fate molta attenzione ad essere precisi.
Al centro del tavolo mettete il calderone.
Fumigate con l'incenso poi accendete le tre candele partendo da quella in alto e proseguendo in senso orario
Concentratevi e dite:

Triplice luce dello Spirito,
illumina la mia mente e il mio cuore,
Davanti a te, ecco, sono io
(nome e cognome)
avvolta nelle tenebre del dolore,
ne veli dell'insicurezza e dell' ignoranza.
L'anno da poco finito mi ha portato questo:

Prendete ul foglio bianco e leggete, poi bruciatelo con la candela il alto, tenendolo il più possibile in mano e poi gettatelo nel calderone, intanto che bruci dite:

Io brucio sulla tua fiamma
tutto il dolore e gli errori del passato,
che il fuoco sacro purifichi
il mio corpo e il mio spirito
allontanando ogni male visibile e invisibile.

Prendete il foglio rosso:

Davanti a te Luce dello spirito
metto il mio futuro

Leggete ciò che avete scritto, e poi nello stesso modo bruciate il foglio dicendo:

Che la tua luce illumini i mie passi,
e mi guidi a un futuro radioso
Che il fuoco di queste candele
sia sempre acceso dentro di me
cosi sia.

Entro sette giorni buttate tutti gli avanzi del rito in acqua corrente.


Rituale della Benedizione di Bride
Mettete tre candele a troiangolo con la punta in alto verso di voi, a destra l'incensiere con incenso e petali di rosa, a sinistra mettete una coppa con del latte e un vaso con rose bianche.
Fumigate e accendete i ceri

Ogni giorno e ogni notte
Bride mi protegge
Nessuno mi potrà fare del male
nessuno mi potrà uccidere
nessuno mi trafiggerà con la spada
nessuno mi getterà in una cella
perché ogni giorno e ogni notte,
Bride mi protegge.
Nessuno mi spezzerà il cuore
nessuno mi darà dolore
nessuno mi angoscerà
nessuno ferirà la mia anima
perche ogni giorno e ogni notte,
Bride mi protegge.
Nessun fuoco mi brucerà
nessun acqua mi annegherà
nessuna brina mi gelerà
perche ogni giorno e ogni notte,
Bride mi protegge.
Bride mia compagna
Bride la mia Forza
Bride la mia guida.
Nella tenebra e nella luce
Bride la buona è con me,
ogni giorno e ogni notte,
Bride mi protegge.

Lasciate bruciare le candele entro tre giorni poi, buttate tutti gli avanzi del rito in acqua corrente.

- Rito per Omeilc
Un rituale che possono eseguire tutti, consiste nel procurarsi tre candele (sempre di colore bianco!), e disporle in un triangolo, con la punta rivolta verso nord. Nel centro del triangolo così disposto si pone un calice di acqua (simbolo della purificazione) o di latte (simbolo del nutrimento della nuova vita).
Dopo un breve rilassamento, seduti o in piedi, ci si muove verso la candela a nord, la si accende e si dice
“Signora dell’Inverno, ti dico addio, la tua stagione è terminata”.

Si visualizzi il gelido potere dell’inverno che si allontana. Dopo avere sostato un po’, ci si sposta alla candela di sud-est, la si accende e si dice
“Signora della Primavera, ti offro un caloroso benvenuto, la terra è il tuo letto”.

Si visualizzi il gioioso potere della primavera che si avvicina. Dopo un po’ si va alla candela di sud-ovest, la si accende e si dice
“Signora dell’Estate, presto io ti chiamerò e risveglierò il tuo amante”

Si visualizzi il potere ancora lontano della bella stagione, desideroso di nascere e pulsante di vita nel sottosuolo. Quando ci si sente pronti, si va al centro del triangolo, si raccoglie il calice e si dice
“Io bevo il potere della Triplice Dea. Possa questo potere diffondersi su tutta la terra per segnare la nascita della primavera”.

Si beve dal calice e si immagina il potere che fluisce in noi, attraverso di noi per risvegliare la Natura. A questo punto si può inserire qualche usanza ricordata in precedenza, cioè la fabbricazione del letto di Brigit o l’arsione delle decorazione vegetali delle feste invernali. Oppure si può semplicemente concludere la cerimonia andando a ciascuna delle candele, nell’ordine in cui sono state accese: si spengono dicendo mentalmente o ad alta voce “Va’ fuoco e caccia l’inverno, riscalda la terra e risveglia la primavera”. Ovviamente in tutti questi piccoli rituali le parole delle formule possono essere adattate e se lo desideriamo, possiamo utilizzare brevi frasi che noi stessi avremo composto, secondo le nostre capacità e la nostra sensibilità.


- 1 Febbraio Imbolc -Oimelag- Oimelc- Folcaim.
In questo giorno si benedicono sull'altare i semi che si andranno a piantare.
Tradizionalmente, chi può lascia una lampada accesa in ogni stanza della casa come simbolo della prossima rinascita del Dio.
Si decorano gli altari con germogli e piante novelle nel vaso.
E' l'antica festa del primo latte, in quanto in questo periodo nascono le prime pecore; il suo nome deriva da Oimelc, che significa "latte di pecora".
E' una stagione di purificazione e rinnovamento; in questo giorno è tradizione porre una scopa davanti alla porta di casa per simboleggiare lo spazzare via il vecchio e l'arrivo del nuovo.
Si accendono candele in tutte le stanze della casa e si spargono nei campi briciole di pane e formaggio come offerta alla natura.
CIBI TRADIZIONALI: semi di girasole, pane, latticini, muffins, semi di zucca, prodotti di latte, dolci alla frutta, cipolle, aglio, tisane di erbe, vino speziato, uvetta, patate, cavoli olive.
COLORI: bianco, verde, blu, rosa, giallo, rosso, marrone.
ERBE: alloro, basilico, angelica, mirtillo, iris, violette, primule, erica.
INCENSI: benzoino, vaniglia, cannella, mirra, violetta, basilico.


Festa di Brigid. 31 Gennaio
Brigit, Dea della Poesia, figlia del Grande Dio Dagda e controparte celtica di Athena-Minerva, è la conservatrice della tradizione perché, per gli antichi Celti, la poesia era un’arte sacra che trascendeva la semplice composizione di versi e diventava magia, rito, personificazione della memoria ancestrale delle popolazioni.
La capacità di lavorare i metalli era ritenuta anch’essa una professione magica e le figure di fabbri semi-divini si stagliano nelle mitologie non solo europee ma anche extra-europee; l’alchimia medievale fu l’ultima espressione tradizionale di questa concezione sacra della metallurgia.
Sotto l’egida di Brigit erano anche i misteri druidici della guarigione, e di questo sono testimonianza le numerose “sorgenti di Brigit”. Diffuse un po’ ovunque nelle Isole Britanniche, alcune di esse hanno preservato fino ad oggi numerose tradizioni circa le loro qualità guaritrici.
Ancora oggi, ai rami degli alberi che sorgono nelle loro vicinanze, i contadini appendono strisce di stoffa o nastri a indicare le malattie da cui vogliono essere guariti.
Sacri a Brigit erano la ruota del filatoio, la coppa e lo specchio. Lo specchio è strumento di divinazione e simboleggia l’immagine dell’Altro Mondo cui hanno accesso eroi e iniziati. La ruota del filatoio è il centro ruotante del cosmo, il volgere della Ruota dell’Anno e anche la ruota che fila i fili delle nostre vite. La coppa è il grembo della Dea da cui tutte le cose nascono.
Cristianizzata come Santa Bridget o Bride, come viene chiamata familiarmente in gaelico, essa venne ritenuta la miracolosa levatrice o madre adottiva di Gesù Cristo e la sua festa si celebra appunto l’1 febbraio, giorno di Santa Bridget o Là Fhéile Brfd.
Riguardo questa santa, di cui è tanto dubbia l’esistenza storica quanto certa la sua derivazione pagana, si diceva che avesse il potere di moltiplicare cibi e bevande per nutrire i poveri, potendo trasformare in birra perfino l’acqua in cui si lavava!
A Santa Bridget fu consacrato il monastero irlandese di Kildare, dove un fuoco in suo onore era mantenuto perpetuamente acceso da diciannove monache.
Ogni suora a turno vegliava sul fuoco per un’intera giornata di un ciclo di venti giorni; quando giungeva il turno della diciannovesima suora ella doveva pronunciare la formula rituale “Bridget proteggi il tuo fuoco. Questa è la tua notte”.
Il ventesimo giorno si diceva fosse la stessa Bridget a tenere miracolosamente acceso il fuoco. Il numero diciannove richiama il ciclo lunare metonico che si ripete identico ogni diciannove anni solari.

Inutile ricordare come questa usanza ricordasse il collegio delle Vestali che tenevano sempre acceso il sacro fuoco di vesta nell’antica Roma, ma più probabilmente la devozione delle suore di Kildare si ricollega alle Galliceniae, una leggendaria sorellanza di druidesse che sorvegliavano gelosamente il loro recinto sacro dall’intrusione degli uomini e i cui riti furono mantenuti attraverso molte generazioni.
Allo stesso modo, nel monastero di Kildare solo alle donne era concesso di entrare nel recinto dove bruciava il fuoco, che veniva tenuto acceso con mantici, come ricorda Geraldo di Cambria nel 120 secolo.
Il fuoco bruciò ininterrottamente dal tempo della leggendaria fondazione del santuario, nel VI secolo, fino al regno di Enrico VIII, quando la Riforma protestante pose fine a questa devozione più pagana che cattolica.
I riti di Brigit celebrati a Imbolc ci sono stati tramandati dal folklore scozzese e irlandese.

Nelle Isole Ebridi (che forse devono il loro nome proprio a Brigit o Bride) le donne dei villaggi si radunano insieme in qualche casa e fabbricano un’ immagine dell’antica Dea, la vestono di bianco e pongono un cristallo sulla posizione del cuore. In Scozia, la vigilia di Santa Bridget le donne vestono un fascio di spighe di avena con abiti femminili e lo depongono in una cesta, il “letto di Brid”, con a fianco un bastone di forma fallica. Poi esse gridano tre volte “Brid è venuta, Brid è benvenuta!”, indi lasciano bruciare torce e candele vicino al “letto” tutta la notte.
Se la mattina dopo trovano l’impronta del bastone nelle ceneri del focolare, ne traggono un presagio di prosperità per l’anno a venire. Il significato di questa usanza è chiaro: le donne preparano un luogo per accogliere la Dea e invitano allo stesso tempo il potere fecondante maschile a unirsi a lei.
Anche nell’isola di Man veniva compiuta una cerimonia simile, chiamata Laa’l Breesley.

Nell’Inghilterra del Nord, terra dell’antica Brigantia, la ricorrenza veniva denominata “Giorno delle Levatrici”.
In Irlanda, si preparano con giunchi e rametti le cosiddette croci di Brigit, a quattro bracci uguali racchiusi in un cerchio, cioè la figura della ruota solare (che è simbolo appropriato per una divinità del fuoco e della luce); lo stesso giorno vengono bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad allora.La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina.

Questi oggetti simbolici, confezionati con materiale vegetale, ci ricordano tra l’altro che la luce ed il calore sono indispensabili alla vegetazione che si rinnova in continuazione, anno dopo anno.
Le spighe di avena (o grano, orzo, ecc.) usate per fabbricare le bambole di Brigit, provengono dall’ultimo covone del raccolto dell’anno precedente. Questo ultimo covone, in molte tradizioni europee è chiamato la Madre del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.) e la bambola propiziatoria confezionata con le sue spighe è la Fanciulla del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.).

Si credeva cioè che lo spirito del cereale o la stessa Dea del Grano risiedesse nell’ultimo covone mietuto: come le spighe del vecchio raccolto sono il seme di quello successivo, così la vecchia divinità dell’autunno e dell’inverno si trasformava nella giovane Dea della primavera, in quella infinita catena di immortalità che è il ciclo di nascita, morte e rinascita. E Brigit rappresenta appunto la giovane Dea della primavera.

Un antico codice irlandese, il Libro di Lismore, riporta una curiosa leggenda. Si narra che a Roma i ragazzi usavano giocare ad un gioco da tavolo in cui una vecchia megera liberava un drago mentre dall’altra parte una giovane fanciulla lasciava libero un agnello che sconfiggeva il drago. La megera allora scagliava un leone contro la fanciulla, la quale però provocava a sua volta una grandine che abbatteva il leone.
Papa Bonifacio, dopo aver interrogato i ragazzi e aver saputo che il gioco era stato insegnato loro dalla Sibilla, lo proibì.
La megera non è altro che la Vecchia Dea dell’Inverno sconfitta dalla Giovane Dea della Primavera. Essendo questa leggenda stata raccolta in un ambito culturale celtico, si può supporre che la Vecchia altri non era che la Cailleach a cui si contrappone Brigit. Il riferimento all’agnello è un altro simbolo del periodo di Imbolc, anche se i commentatori medievali lo considerarono l’emblema di Gesù Cristo.

In realtà è la Vecchia Dea che si rinnova trasformandosi in Giovane Dea, così come il Vecchio Grano diviene il nuovo raccolto. I Carmina Gadelica, una raccolta di miti, proverbi e poemi gaelici di Scozia, raccolti e trascritti alla fine dell’800 dal folklorista scozzese Alexander Carmichael, riportano la seguente filastrocca:

La mattina del Giorno di Bride
Il serpente uscirà fuori dalla tana
Non molesterò il serpente
Né il serpente molesterà me

Il serpente appare come uno degli animali-totem di Brigit. In molte culture il serpente o drago è simbolo dello spirito della terra e delle forze naturali di crescita, decadimento e rinnovamento.
Nel giorno di Bride il serpente si risveglia dal suo sonno invernale e i contadini ne traevano il presagio della fine imminente della cattiva stagione. Il serpente è uno dei molti aspetti dell’antica Dea della terra: la muta della sua pelle simboleggia il rinnovamento della Natura e anche la sua dualità Infatti in gaelico “neamh” (cielo) è simile a “naimh” (veleno), provenendo entrambi dalla radice “nem”.

La Vecchia Dea e la Giovane Dea sono la stessa persona! (nelle fiabe l’eroe che coraggiosamente bacia una vecchia megera si ritrova di fronte una bellissima fanciulla...)

Brigid è la patrona della Candelora, festa solare di Fuoco, celebrata anche sotto il nome di Imbolc.
La Dea - che era contemporaneamente la protettrice dei fabbri, dei poeti e dei guaritori - rappresenta:
• il fuoco dell’ispirazione come patrona della poesia
• il fuoco del focolare, come patrona della guarigione e fertilità’
• il fuoco della forgia, come patrona dei fabbri e delle arti marziali.


- 2 febbraio Candlemas- Festival delle luci.
Si accednono fuochi sacri in onore della Dea Bride e vi si danza intorno; si prendono dei tizzoni da portare a casa per propiziare la buona sorte.
Gli inglesi osservano il tempo atmosferico di questo giorno per predire il tempo futuro:
"se il giorno di candlemas porta neve e pioggia l'inverno se ne è andato e non tornerà;
se il giorno di candlemas sarà chiaro e luminoso l'inverno avrà un altro flight"
E gli Scozzesi osservano i venti:
"se il vento di questa notte soffia da sud presagisce calore e crescita; se da ovest molto latte e pesci in mare; se da nord vi saranno molta neve e molto freddo; se da est, gli alberi avranno molti frutti; se da nord-est, fuggite, uomini, donne ed animali


- 5-6 Febbraio Concordia, Dea del matrimonio armonioso.
"Raggiante Concordia, risiedi sempre in questo matrimonio e cosi, convenientemente unita in matrimonio, possa Venere sempre benedire con figli questa coppia" Marziale, IV. 13.7-8


- 6 gennaio Festa di Dionisio
NASCITA DI DIONISO
Come per molti altri dei, la maggior parte dei racconti relativi a Dioniso riguarda la nascita e l'infanzia del dio. La versione più nota del mito presenta la nascita di Dioniso da Zeus e da Semele, figlia del re di Tebe, Cadmo. Poiché Zeus aveva promesso alla amata Semele di esaudire ogni suo desiderio, la sposa di Zeus, Era, gelosa di Semele, la indusse perfidamente a chiedere al suo divino amante di mostrarsi a lei in tutto il suo splendore. Per accontentarla Zeus comparve circondato di lampi e folgori, che inceneriscono Semele e il suo palazzo a Tebe. Zeus salvò però il feto di Dioniso, frutto del suo amore con Semele e, per evitare le insidie della gelosa Era, lo cucì nella sua coscia fino al giorno stabilito per la nascita.

Non è da escludere che le componenti di questo mito siano parte di un nucleo pre-dionisiaco in riferimento alla divinità da cui il Dioniso ellenizzato è derivato. La stessa coppia Semele-Dioniso, se si accetta l'ipotesi che in origine fosse quella formata da una dea-madre e da un dio-figlio, potrebbe essere il risultato di una associazione realizzatasi in tutto un insieme di antichi culti pre-ellenici o anatolici. Il nome di Semele appartiene infatti a una lingua non greca e si riferisce a una dea-terra madre di un figlio divino. Anche in epoca tarda Dioniso sarà spesso designato con l'appellativo di concepito nel fuoco o di nato nel fuoco, con riferimento alla folgore di Zeus: la prima parte del suo nome sembra infatti rinviare a una filiazione da parte del dio celeste indoeuropeo.
Tali informazioni andrebbero dunque a costituire un mito naturalistico elementare assai plausibile. Questa componente naturalistica è però assente dalla figura della madre Semele che, al pari di altre donne mortali, è amata da Zeus. La sua folgorazione accentua la natura divina di Dioniso: Zeus gli fa infatti da seconda madre e il figlio di Semele giunge a compimento nella coscia del padre di cui sarà una promanazione diretta. Il carattere eccezionale della filiazione sembra tuttavia soprattutto rispondere alla preoccupazione di elevare il nuovo dio nella discendenza da Zeus, preoccupazione forse dovuta all'antagonismo tra culti di giovani dei alla ricerca di una legittimazione. Il racconto è inoltre da riferirsi al periodo dell'introduzione di una concezione patriarcale nel mondo greco per cui gli dei nati da dee-madri di stampo asiatico vengono elevati sull'Olimpo in nome di una parentela più o meno diretta con il grande dio degli Elleni.

La nascita di Dioniso da una donna mortale rende certamente più suggestiva la sua figura in quanto lo presenta come un immortale che pur restando tale partecipa dell'umanità. Egli frequenta continuamente i mortali ai quali infonde il sentimento della sua presenza reale e non si abbassa sino a loro, ma piuttosto li innalza sino a sé; tutto il racconto costituisce inoltre un motivo atto a suscitare emozioni nelle donne che vedevano il figlio di una di loro elevato al grado di divinità.
Se il nome di Dioniso è poco familiare oggi, molto popolare è invece quello di Bacco. Negli autori greci questo termine è soltanto un epiteto del dio, estraneo tuttavia alla visione moderna e tardoantica di Dioniso come dio del vino.
L'appellativo è comune al dio e ai suoi fedeli, i baccanti, che non l'hanno però assunto considerandosi una momentanea incarnazione del dio, bensì è Dioniso stesso che lo ha tratto dai suoi seguaci. Egli è insomma il baccante per eccellenza e del resto il termine bacchos è inscindibile dal verbo baccheuein che designa un comportamento particolare, una sorta di trance religiosa, anche in riferimento a culti estranei al dionisismo.

Il mito dionisiaco
Dopo la nascita dalla coscia di Zeus, Dioniso viene allevato dalla zia materna Ino e dalle ninfe della valle di Nisa. Divenuto adulto, egli percorre il mondo insegnando agli uomini la viticultura e istituendo ovunque il suo culto, che viene spesso avversato con l'accusa di seminare disordine e immoralità. Nella stessa Tebe, sua patria, Dioniso è perseguitato dal re Penteo, che ne vieta il culto, praticato soprattutto in orge notturne nelle quali i seguaci e soprattutto le donne, dette Menadi (cioè "folli"), svolgono cerimonie sui monti, agitando fiaccole e tirsi in preda a una eccitazione collettiva nel corso della quale cercano la comunione con il dio a contatto con la natura e divorando carni crude di cerbiatti dilaniati. Ma la forza del dio è irresistibile e il suo avversario Penteo viene ucciso dalla madre stessa.
Le forme del culto lo presentano come un dio mediterraneo della natura e della vegetazione, dio della vita e della morte, che impone il suo culto con una potenza terribile, nella quale trovano sublimazione gli impulsi segreti della psiche umana, che chiedono una forma periodica di liberazione perché l'uomo possa attingere la felicità nella comunione mistica con il dio della natura.


9 Febbraio Festa di Yemaja
Nella mitologia yoruba, e nei culti correlati afroamericani come il Candomblé e il Vodun, Yemaja è la madre di tutti gli Orisha. A seconda della tradizione, viene indicata anche come Imanja, Jemanja, Yemalla, Yemana, Yemanja, Yemaya, Yemayah, Yemoja, Ymoja e in altre varianti. È la regina del mare; si invoca per protezione (in particolar modo delle donne incinte), purificazione e aiuto in generale, chiedendone la manifestazione nel suo aspetto più materno; un altro aspetto di Yemaja, quello distruttore, è simboleggiato dal mare in tempesta.

La tradizione narra che Yemaja sia nata dalla spuma del mare, come (Venere); la sua figura si può far corrispondere a quella generale della "Grande Madre", propria di numerose tradizioni.

Ha insegnato l'amore a tutti gli Orisha, è sposata con Babalú Ayé. Tra le caratteristiche che la contraddistinguono vi sono la passione per la caccia, l'astuzia, l'indomabilità, la collera, la severità, l'allegria. Le sono associati i colori bianco e blu e il sabato; nei sincretismi viene identificata con la Vergine della Regola. I suoi fedeli, prima di pronunciare il suo nome, devono toccare con i polpastrelli la polvere della terra.

Tra i suoi attributi vi sono la luna e il sole, l'ancora, il salvagente, le scialuppe. Veste abitualmente con una lunga veste azzurra con serpentine simboleggianti il mare e la spuma e regge un ventaglio adornato con conchiglie.

Dea madre e patrona delle donne, specialmente di quelle in gravidanza, è patrona anche del fiume Ogun, le cui acque si dice che riescano a curare l'infertilità. I suoi genitori sono Oduduwa e Obatala. Suo figlio Orungan la violentò una volta e ci riprovò una seconda; per impedire questa violenza, Yemaja esplose dal proprio ventre quindici Orisha, inclusi Ogun, Olokun, Shopona e Shango.

Tra gli Umbanditi, Yemaja è la dea dell'Oceano e dea patrona dei sopravvissuti ai naufragi.

madre della vita, signora del mare, fonte fondamentale di vita. Le piace cacciare e maneggiare il machete, è indomabile e astuta, i suoi castighi sono duri e la sua collera terribile, ma giustiziera, ma è anche madre dolce che ascolta le richieste dei suoi figli e si preoccupa per il loro sostentamento. I suoi colori sono il blu e il bianco, veste con sette gonne sovrapposte, un corpetto blu con serpentine bianche e una cinta con un rombo che copre l’ombelico. Nel suo cammino di Yembò e di Odduà nascono tutti gli Orisha. E' madre della vita, per questo governa le acque e rappresenta il mare.

Yemayà è colei che crea e, quando una donna è incinta, fa le rogaciòn e prega lei, perchè la creatura nasca bene. In Yemayà nasce l'amore, non a caso lo ha insegnato a tutti gli Orisha. E' stata moglie di Babalù Ayé, di Agallù, di Orula e di Oggùn.

E' più importante di Oya, che rappresenta l'aria, perchè questa arriva dagli oceani, dai mari. E' indomabile e astuta. I suoi castighi sono duri, la sua collera terribile, però sempre agisce con giustizia. Ama la buona compagnia; è una buona madre, allegra e sanguigna.

Chi è consacrato a lei non può pronunciarne il nome prima di aver toccato terra con i polpastrelli delle dita e baciato in loro l'impronta della polvere. Tra i suoi attributi ci sono la luna e il sole, l'ancora, i salvagente, le scialuppe e altri oggetti lavorati in argento, acciaio, latta e piombo. C'è un'apposita campanellla per salutarla e per attirare la sua attenzione. La sua collana è fatta da cristalli azzurri e indossa una lunga veste dello stesso colore con serpentine azzurre e bianche, simbolo del mare e della spuma. In mano generalmente tiene un ventaglio in oro e madreperla, adornato con perline e conchiglie. Nel ballo si annuncia con una risata fragorosa e poi gira come le onde o i mulinelli dell'oceano. A volte rema, mentre altre sembra che nuoti, ma sempre inizia piano piano per aumentare l'intensità del ritmo come per le ondate minacciose. Protegge le persone che hanno problemi al ventre, soprattutto se derivati dall'acqua (dolce, salata, pioggia, umidità, ecc.).
Insieme a Changò e a Ochun è tra le preferite dai cubani. Viene sincretizzata con la Vergine di Regla, la patrona della Baia dell'Avana.


15 Febbraio festa dei Lupercali
I Lupercali (in latino: Lupercalia) erano una festività romana che si celebrava nei giorni nefasti di febbraio, mese purificatorio (il 15 febbraio), in onore del dio Fauno nella sua accezione di Luperco (in latino Lupercus), cioè protettore del bestiame ovino e caprino dall'attacco dei lupi. Secondo Plutarco sembra fossero dei riti di purificazione.

Secondo un'altra ipotesi, avanzata da Dionisio di Alicarnasso, i Lupercalia ricordano il miracoloso allattamento dei due gemelli Romolo e Remo da parte di una lupa che da poco aveva partorito; Plutarco dà una descrizione minuziosa dei Lupercalia nelle sue Vite parallele. I Lupercalia venivano celebrati nella grotta chiamata appunto Lupercale, sul colle romano del Palatino dove, secondo la leggenda, i fondatori di Roma, Romolo e Remo sarebbero cresciuti allattati da una lupa.

Storia 
Le origini della festa sono avvolte nella leggenda: secondo Dionisio di Alicarnasso e Plutarco, i Lupercali potrebbero essere stati istituiti da Evandro, che aveva recuperato un rito arcade. Tale rito consisteva in una corsa a piedi degli abitanti del Palatino (allora chiamato Pallanzio, dalla città dell'Arcadia di Pallanteo), senza abiti e con le pudenda coperte dalle pelli degli animali sacrificati, tutto in onore di Pan Liceo ("dei lupi").

Secondo una leggenda narrata da Ovidio, al tempo di re Romolo vi sarebbe stato un prolungato periodo di sterilità nelle donne. Donne e uomini si recarono perciò in processione fino al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell'Esquilino, e qui si prostrarono in atteggiamento di supplica. Attraverso lo stormire delle fronde, la dea rispose che le donne dovevano essere penetrate (inito, che rimanda a Inuus, altro nome di Fauno) da un sacro caprone sgomentando le donne, ma un augure etrusco interpretò l'oracolo nel giusto senso sacrificando un capro e tagliando dalla sua pelle delle strisce con cui colpì la schiena delle donne e dopo dieci mesi lunari le donne partorirono.

I Lupercalia furono una delle ultime feste romane ad essere abolite dai cristiani. In una lettera di papa Gelasio I si riferisce che a Roma durante il suo pontificato (quindi negli anni fra il 492 e il 496) si tenevano ancora i Lupercali, sebbene ormai la popolazione fosse da tempo, almeno nominalmente, cristiana. Nel 495 Gelasio scrisse questa lettera (in realtà un vero e proprio trattato confutatorio) ad Andromaco, l'allora princeps Senatus, rimproverandolo della partecipazione dei cristiani alla festa. Si ignora se la festa sia stata abolita quell'anno, come riteneva il cardinale Cesare Baronio, o se sia sopravvissuta per qualche tempo ancora. William Green riteneva che probabilmente il significato religioso della festa fosse andato perduto (del resto era già trascorso un secolo dalla proibizione dei culti romani decretata per legge da Teodosio I) e che ormai avesse un carattere puramente folklorico. Più tardi, nel VII secolo, venne istituita la festa della Candelora e collocata al 2 febbraio.

Tra le cerimonie pagane romane che Giacomo Boni mise in programma per il primo anniversario della marcia su Roma, ci fu anche il ripristino delle corse dei Lupercalia, inaugurate con l'esplorazione dell'antro celeberrimo, scrive Boni.

Celebrazione
La festa era celebrata da giovani sacerdoti chiamati Luperci, seminudi con le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia; soltanto intorno alle anche portavano una pelle di capra ricavata dalle vittime sacrificate nel Lupercale.

I Luperci, diretti da un unico magister, erano divisi in due schiere di dodici membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani ("dei Fabii") e Luperci Quinziali (Quinctiales, "dei Quinctii"), ai quali per un breve periodo Gaio Giulio Cesare aggiunse una terza schiera chiamata Luperci Iulii, in onore di se stesso. Secondo Dumézil è probabile che in origine le due schiere fossero formate dai membri delle gentes dalle quali prendono il nome (cioè i Fabii e i Quinctii). Secondo Mommsen un indizio potrebbe essere il fatto che il nome Kaeso si trova soltanto tra i membri di quelle due gentes e sarebbe collegato al februis caedere, cioè al tagliare (caedere) le strisce (februa) dalla pelle delle capre sacrificate.

Sulla base di alcuni passi di Livio, si è ritenuto generalmente che i luperci Fabiani fossero originari del Quirinale e i Quinziali del Palatino, ma ciò è contestata da Dumézil, per il quale non ci sono sufficienti motivi per trarre questa deduzione, anche perché i riti dei Lupercalia sono strettamente legati soltanto al colle Palatino e non anche al Quirinale.

In età repubblicana i Luperci erano scelti fra i giovani patrizi ma da Augusto in poi la cosa fu ritenuta sconveniente per loro e ne fecero parte solo giovani appartenenti all'ordine equestre.

Plutarco riferisce nella vita di Romolo che il giorno dei Lupercalia, venivano iniziati due nuovi luperci (uno per i Luperci Fabiani e uno per i Luperci Quinziali) nella grotta del Lupercale; dopo il sacrificio di capre (si ignora se una o più di una, se di genere maschile o femminile: secondo Quilici un capro) e, pare, di un cane(che per Dumézil è cosa normale se i Luperci sono "quelli che cacciano i lupi"), i due nuovi adepti venivano segnati sulla fronte intingendo il coltello sacrificale nel sangue delle capre appena sacrificate. Il sangue veniva quindi asciugato con lana bianca intinta nel latte di capra, al che i due ragazzi dovevano ridere.

Questa cerimonia è stata interpretata come un atto di morte e rinascita rituale, nel quale la "segnatura" con il coltello insanguinato rappresenta la morte della precedente condizione "profana", mentre la pulitura con il latte (nutrimento del neonato) e la risata rappresentano invece la rinascita alla nuova condizione sacerdotale.

Venivano poi fatte loro indossare le pelli delle capre sacrificate, dalle quali venivano tagliate delle strisce, le februa o amiculum Iunonis, da usare come fruste. Dopo un pasto abbondante, tutti i luperci, compresi i due nuovi iniziati, dovevano poi correre intorno al colle saltando e colpendo con queste fruste sia il suolo per favorirne la fertilità sia chiunque incontrassero, ed in particolare le donne, le quali per ottenere la fecondità in origine offrivano volontariamente il ventre, ma al tempo di Giovenaleai colpi di frusta tendevano semplicemente le palme delle mani.

In questa seconda parte della festa i luperci erano essi stessi contemporaneamente capri e lupi: erano capri quando infondevano la fertilità dell'animale (considerato sessualmente potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi nel loro percorso intorno al Palatino. Secondo Quilici, la corsa intorno al colle doveva essere intesa come un invisibile recinto magico creato dagli scongiuri dei pastori primitivi a protezione delle loro greggi dall'attacco dei lupi; la stessa offerta del capro avrebbe dovuto placare la fama dei lupi assalitori. Tale pratica inoltre non doveva essere stata limitata al solo Palatino ma in epoca preurbana doveva essere stata comune a tutte le località della zona, ovunque si fosse praticato l'allevamento ovino.

C'è incertezza sull'etimologia delle parole Lupercalia, Luperci e Lupercus, anche se la base è sicuramente costituita dalla parola lupus ("lupo"). Secondo Ludwig Preller, Georg Wissowa
e Ludwig Deubner si tratterebbe di un composto formato dalle parole lupus e arcere ("cacciare"); secondo Theodor Mommsen, Henri Jordan e Walter Otto invece, potrebbe essere un derivato sul tipo della parola latina noverca ("matrigna") da suddividere in nou-er-ca, anche perché nella celebrazione dei Lupercalia niente sembra far pensare a qualcosa rivolto contro i lupi. Émile Benveniste però, ritiene che la parola noverca vada suddivisa in *nou-er+ca- (cfr. gr. nearós, arm. nor), rendendo più difficoltoso il confronto con lupercus. Secondo Jens S. Th. Hanssen, invece, Lupercalia sarebbe una retroformazione dalla parola luperca, a sua volta diminutivo di lupa, con una possibile influenza del nome di famiglia Mamerci, mentre per Joachim Gruber l'origine si troverebbe in un ipotetico antico composto *lupo-sequos ("che è inseguito dai lupi").

Secondo Karl Kerényi il carattere dei Luperci farebbe pensare alla sovrapposizione in loro di due rappresentazioni opposte: da una parte quella del lupo che sarebbe originaria e proveniente dal nord Europa, dall'altra il capro, successivo e proveniente dal sud. Per Andreas Alföldi i Luperci sarebbero un relitto del "Männerbund" che avrebbe fondato Roma. Secondo Dumézil, invece, i Luperci rappresentavano gli spiriti divini della natura selvaggia subordinati a Fauno. Nel giorno dei Lupercalia, infatti, l'ordine umano regolato dalle leggi si interrompeva e nella comunità faceva irruzione il caos delle origini, che normalmente risiede nelle selve.

Secondo Dumézil, i Lupercali avrebbero avuto in origine anche la funzione di conferma della regalità adducendo come indizi alcuni passi compiuti da Cesare nel suo piano di restaurazione della monarchia a Roma. Egli infatti istituì una terza schiera di Luperci che intitolò a sé stesso (i Luperci Iulii) e inscenò un tentativo di incoronazione durante i Lupercali dell'anno 44 a.C., facendosi offrire una corona intrecciata d'alloro da Marco Antonio che era uno dei Luperci; viste le reazioni del pubblico, Cesare rifiutò la corona e la fece portare come offerta al tempio di Giove in Campidoglio. In particolare l'atto di Marco Antonio che esce dal gruppo dei Lupercali e, nudo, balza sui rostri per incoronare Cesare, potrebbe essere, sempre secondo Dumézil, la riproposizione di una scena antica all'epoca ancora viva nella memoria popolare.


16 Febbraio festa di Nike- Atena
Atena, identificata con l’appellativo di Pallade, era figlia di Zeus e Metide (“il saggio consiglio”), divinità dalla quale sarebbero nati solo figli accorti e saggi come la madre.

Gea e Urano predissero a Zeus che dalla sua consorte, Metide, sarebbe nato un erede più saggio di lui che l’avrebbe spodestato... quindi impaurito dalla profezia ingoiò sua moglie e la tenne nascosta nelle proprie viscere affinché il futuro figlio avesse potuto portare saggi consigli dall’interno soltanto a lui.

La nascita di Atena è raccontata in tre versione diverse, ma simili nella loro natura, ovvero ella nacque dalla testa di Zeus.
Nella prima versione del mito (nell’ordine in cui la racconto non in ordine storiografico) Esiodo nella Teogonia dice che Atena apparve fuori dalla testa di Zeus armata di tutto punto lanciando un terribile urlo di guerra.
In una seconda versione, pur nascendo sempre dalla medesima parte del corpo del padre, poiché data alla luce nei pressi del fiume Tritone ebbe l’appellativo di Tritogenia.
Nella terza versione del mito si narra che Efesto, o Prometeo, aprirono con un colpo d’ascia la testa di Zeus, dalla quale apparve la dea Atena sempre con la sua armatura, ma terribile a vedersi.

Dopo la nascita Atena fu allevata dal dio fluviale Tritone, il quale aveva una figlia, Pallante, e si allenava con lei nell’arte delle armi. Durante uno di questi combattimenti Atena era in procinto di essere ferita da Pallante e Zeus, accortosi del pericolo, intervenne frapponendo fra le duellanti la sua egida, ovvero la pelle di capra che suscitava terrore. L’amica di Atena, spaventata, venne colpita da quest’ultima e morì. Disperata per la morte di Pallante, Atena ne fece una statua che la riproduceva, il Palladio, e la pose di fianco alla statua di Zeus.

Atena è rappresentate come una dea Vergine: infatti, dopo la sua nascita, Zeus la promise ad Efesto, ma quest’ultima la prima notte di nozze sparì dal talamo nuziale e il seme di Efesto sparso in terra generò Erittonio, che venne poi preso sotto l’egida della dea.

Tra i suoi spasimanti si annovera anche l’indovino Tiresia che divenne cieco quando la scorse nuda al bagno.

Poichè figlia della divintà più potente e di quella più saggia, in lei furono riconosciuti e fusi entrambi i poteri. Protettrice delle leggi e dello Stato; Atena è quindi una divinità guerriera. Si dice avesse inventato il carro da guerra insieme al flauto. Ma un giorno, mentre suonava lo strumento, si specchiò in un lago e spaventata dal suo aspetto deforme a causa delle smorfie provocate nel suonare lo stesso, lo gettò via e il medesimo venne raccolto da Marsia, un fauno.
Poiché il Capricorno è associato anche al mito di Pan, il quale creò l’omonimo flauto, cogliamo una analogia di significato rispetto all’aspetto esteriore non gradevole per entrambi i rappresentanti del segno.

Restando sempre nell’ambito della divinità guerriera, è da ricordare che sullo scudo di Atena era rappresentata la testa della Gorgonie Medusa, che aveva il potere di pietrificare chiunque la guardasse in volto. Quest’ultima fu uccisa da Perseo.
Un altro racconto mitico legato ad Atena è quello in cui Poseidone e la dea si contesero il predominio sull’Attica. Per porre fine alla contesa gli dei decisero che chi avrebbe regalato agli uomini il dono più prezioso sarebbe stato protettore dell'Attica. Poseidone, dopo aver colpito con il suo tridente una pietra, ne fece scaturire una fonte di acqua salata, Atena, invece, fece nascere un ulivo sull'Acropoli. La sfida fu vinta da Atena.





Fonte e Ringraziamenti
lilithcry per festività di febbraiocon Magia pagana, elfi edizioni
Feste Pagane, di Roberto Fattore per Festa di Brigid
www.ilcalderonemagico.it

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